LA FUNZIONE ANTICOMUNISTA DELLA MAFIA. DI ANGELO IVAN LEONE


Tutti i prefetti siciliani erano concordi, durante il biennio ‘44/’45, “nell’indicare come l’epicentro dell’insicurezza fosse nelle campagne” . Questo perché, come abbiamo visto, c’era uno scatenamento del brigantaggio, che indusse i tremebondi proprietari terrieri all’antica idea di farsi giustizia da soli e, quando questi signori intendevano farsi giustizia da soli, certo non dovevano essere presi completamente alla lettera, ma dovevano essere presi dalla mafia che, puntuale, si ripresentò a fare da guardiania alle loro immense tenute. Ci fu una riaffermazione totale di una signoria mafiosa sul territorio, che era la condizione imprescindibile per riportare l’ordine, anche se, ovviamente, l’ordine mafioso.
I proprietari terrieri, i latifondisti alla Finocchiaro Aprile per intenderci, utilizzavano i mafiosi nell’antico mestiere del gabellotto o come guardiani per essere tutelati dai contadini che si organizzavano nei partiti e nelle varie organizzazioni sindacali, primi fra tutti il PCI e la Cgil, vere bestie nere per questi signori, e tra il ’44 e il ’45 i più influenti capi mafia diventarono gabellotti di vasti feudi .
Questi mafiosi che avevano adesso preso in consegna le terre dei padroni dovevano, per forza di cose, tutelare le terre stesse non solo dai contadini e dalle organizzazioni di sinistra che le rivendicavano, specie quelle incolte, ma anche e soprattutto dai banditi e dai briganti di cui la mafia, come abbiamo visto, nella sua fase separatista, si era servita.
Questa situazione divenne incandescente e portò alla paradossale “campagna anticrimine voluta dalla mafia”  riportata dalle fonti dei servizi segreti americani, che descrissero, nella primavera del 1945, tale azione dell’ “alta mafia”  per combattere “il crimine in Sicilia” .
Così, mentre l’Italia del nord si liberava definitivamente dal nazifascismo, la Sicilia si liberava, ad opera della mafia, dal banditismo separatista, con numerosi omicidi di capi banditi nelle province di Caltanissetta, Trapani, Agrigento e Palermo. Cosa Nostra era diventata un’organizzazione per la tutela dell’ordine pubblico in Sicilia e i mafiosi si sostituivano allo Stato, uccidendo chi era d’ostacolo ai loro progetti, mentre i rappresentanti dello Stato stesso “stavano a guardare lucrando sugli effetti della bonifica mafiosa” .
La fine della Seconda Guerra Mondiale e i prodromi dell’inizio di un’altra guerra, quella fredda, portarono ad un cambiamento anche in seno ai vertici mafiosi. Come abbiamo visto, il separatismo era una figura ideologica agonizzante, ma i mafiosi, che nel loro recentissimo passato avevano tutti o simpatizzato o militato attivamente nel MIS, proprio allora decisero di attuare uno di quei cambiamenti di casacca tanto legati non solo alla storia della mafia, ma alla storia della Sicilia in sé: come ci insegna il Tancredi de “Il Gattopardo”, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” .
E i mafiosi raccolsero completamente questo gattopardesco consiglio, perché fu proprio appena dopo la fine della guerra che realizzarono “una spregiudicata operazione politica da cui prenderà avvio il progressivo inquinamento della Democrazia Cristiana siciliana, presupposto delle successive collusioni politico-affaristiche con i gruppi mafiosi” .
Il salto della quaglia degli uomini d’onore si attuò con la loro trasmigrazione, pressoché totale, dal movimento separatista, in via di liquidazione, al grande partito cattolico della Democrazia Cristiana, con una fase intermedia di sostanziale “parcheggio” in un partito di destra quale era il PLI, Partito Liberale Italiano.
L’inossidabile don Calogero Vizzini, assieme a Genco Russo e al padre mafioso di Liggio, Navarra, transitarono, dopo un breve periodo proprio nel PLI, nel più grande alveo democratico-cristiano. Bontate, in seguito ucciso durante la faida degli anni Ottanta con i corleonesi guidati da Riina e Provenzano, approdò alla DC passando per il Partito Monarchico. Altri, invece, passarono direttamente dal separatismo alla DC, tra cui Pippo Calò, il futuro cassiere, e Masino Buscetta, il futuro pentito.
Michele Navarra, in particolare, capofamiglia a Corleone, favorì, secondo la Commissione Antimafia, “il passaggio in massa nelle fila della DC di grandi mafiosi con tutto il loro imponente apparato di forza elettorale” .
Alfio Caruso definisce Navarra come un “uomo che sta dentro la mafia e dentro le istituzioni” , definizione che ci deve portare a riflettere perché Navarra, capo della famiglia di Corleone, sarà il padre mafioso di Luciano Leggio detto Liggio, il quale a sua volta sarà il padre mafioso di Totò Riina e di Bernardo Provenzano, ovvero della più spietata e sanguinolenta frangia della mafia che la stessa Onorata Società ricordi. Questa frangia della mafia fu l’autrice, in sostanza, del colpo diretto al cuore dello Stato e della strategia terroristica attuata da Cosa Nostra negli anni tra il 1992 e il 1994, con le stragi di Capaci e via D’Amelio, che portarono alla morte del giudice Falcone e del giudice Borsellino, e le bombe piazzate a Milano, a Roma e a Firenze.
L’operazione di trasmigrazione dei mafiosi dal separatismo alle fila della DC non fu, comunque, completamente indolore, anche se era benedetta dai massimi dirigenti del partito dello scudo-crociato nella zona di Montelepre (patria natia di Salvatore Giuliano) e Partinico. Questo passaggio di massa dei mafiosi da una bandiera all’altra fu anche contrastato senza successo da alcuni autorevoli dirigenti democristiani .
Giuseppe Alessi, leader democristiano nisseno, fu tra questi e si provò ad impedire l’ingresso nella DC dei separatisti del Vallone, che avevano però la benedizione del suo compagno di partito Calogero Volpe e il sostegno del mafioso Genco Russo. La risposta che il povero Alessi ebbe per giustificare l’entrata dei mafiosi separatisti nella DC fu questa: “Abbiamo bisogno della collaborazione di persone forti per fermare le violenze dei comunisti” .
Ecco spiegato l’anticomunismo viscerale della mafia e l’espletamento dell’anticomunismo democratico-cristiano in Sicilia: “far paura per impedire l’organizzazione dei comunisti e lo sviluppo delle camere del lavoro” . E chi meglio della mafia poteva far paura alle rinascenti organizzazioni sindacali, operaie, comuniste che cercavano di difendere dalle sopraffazioni le disperate plebi siciliane e meridionali?
Questo meccanismo perverso, che aveva trovato il suo mantice ideologico nell’anticomunismo predicato dai massimi epigoni democristiani, sull’isola e fuori, e che era stato attuato spietatamente dalla mafia a colpi di stragi e uccisioni, poteva e può anche essere visto sotto un altro aspetto, ovvero la tutela, costi quel che costi, dei propri interessi e del proprio ceto di potere, in un’ottica della più rigida autoconservazione.
Questo secondo punto di vista toglie molto all’idealismo anticomunista della DC e svela, invece, un gruppo di potere abbarbicato al potere stesso e pronto, sempre in virtù del potere e della sua conservazione, a commissionare all’anti-Stato per eccellenza, ovvero alla mafia, la soppressione violenta degli interessi delle classi popolari siciliane e meridionali, classi che, nella propaganda democristiana, erano al primo posto nell’ottica del progresso promesso dal governo. Un progresso che era innanzitutto non tutto e non solo merito italiano, perché –ricordiamoci- dietro c’erano i dollari del Piano Marshall statunitense, e che, essendo ottenuto in questo modo, oseremmo dire, scellerato, è sporco del sangue della povera gente, troppo sangue, un sangue che è stato una costante della storia d’Italia e che troppe volte è rimasto impuntito.
Chi l’ha detto che l’Italia s’è guastata crescendo?

Commenti

  1. Mi diceva: "Maestra, sarò primario, e dovrò mettere su il reparto" "Sicuro che sarà libero di farlo come ritiene giusto?" "Scherza? Sono responsabile io!". Potrei raccontarti come questo specialista prestigioso, fra gli specialisti scelti per un grande ospedale. si ritrova tre individui senza titoli e, nonostante questo, è bersaglio di una campagna mediatica denigratoria spaventosa. Era arrivato in Sicilia accompagnato dalla fama di essere uno specialista fantastico, così ci sono persone che dicono "Mi ha salvato", e altre che dicono che non si interessa dei pazienti… Lasciamo perdere.

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  2. La mafia è un vero cancro nel tessuto sociale, ma qualcuno l'ha provocato e l'ha nutrito.

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