LA SACRA TRIADE di Angelo Ivan Leone

LA SACRA TRIADE
1) Lucky Luciano

Il 1943 fu un anno decisivo per la storia non solo italiana ma anche mafiosa.
Innanzitutto, per capire le dinamiche avutesi durante lo sbarco e la successiva occupazione della Sicilia da parte degli Alleati, è bene tener presente le figure di alcuni personaggi eminenti che tanto contribuirono allo svolgersi degli avvenimenti durante quei mesi. Analizzeremo quindi queste figure partendo dalla prima che funse da vero trait d’union tra la ‘merica, come lui l’avrebbe chiamata, e la sua natale Sicilia: Salvatore Lucania, meglio conosciuto con il nome di Lucky Luciano.
Originario di Lercara Friddi, un oscuro paesino della provincia di Palermo a metà strada tra il capoluogo e Trapani, nella più tetra Sicilia mafiosa, il futuro Lucky partì dal suo paese d’origine all’età di 9 anni. 
Una volta giunto in America, il ragazzo fece strada negli ambienti criminali, tanto da determinare con la sua inventiva il cambiamento radicale della mafia negli States. Possiamo benissimo affermare che, grazie alla sua opera, in contemporanea con il new deal rooseveltiano, si affermò un new deal mafioso. Lucky, infatti, comprese immediatamente le enormi possibilità che gli incentivi della politica rooseveltiana davano all’affarismo sia legale che illegale della mafia. Il boss, pertanto, tentò una scalata senza precedenti ai centri del potere politico-sindacale americano, riuscendo infine a controllare le organizzazioni dei lavoratori (il film Fronte del porto è emblematico a riguardo di questo aspetto inquietante delle organizzazioni mafiose negli U.S.A.) e, sul piano politico, si inaugurò, proprio grazie alla sua azione, una lunga stagione di appoggio dei boss mafiosi alle politiche del Partito Democratico, stagione che, partita sotto la presidenza Roosevelt, diverrà una costante nella politica americana continuando fino alla presidenza Kennedy, presidenza Kennedy inclusa, ma questa, come diceva Kipling, è un’altra storia…
Sul piano più strettamente criminale, Lucky Luciano, ben presto aiutato dal famigerato e “signorile” Albert Anastasia, capo dell’ “Anonima Assassini”, liquidò i suoi avversari, due boss anziani, il primo dal nome Joe Masseria che venne ucciso con l’aiuto dell’altro concorrente, Salvatore Maranzano, il quale poi trovò la morte l’anno successivo, proprio ad opera di Lucky Luciano . Distrutta così ogni alternativa alla sua leadership, Lucky cominciò a costruire un suo originalissimo e personalissimo spazio di potere, creando una rete di alleanze che andava ben oltre New York. Uno dopo l’altro, si associarono i Genovese e i Bonanno, i Gentile e i Galante, i Bonventre e tutte le altre principali famiglie mafiose degli States, che formarono il gruppo dirigente, la “cupola” della mafia americana . Era nata “Cosa Nostra”.
Questa organizzazione divenne ben presto una vera e propria holding dell’affarismo mafioso, destinata a diventare una multinazionale criminale.
Il suo fondatore venne però incriminato e processato per l’unico reato su cui la polizia americana fu capace di raccogliere prove, lo sfruttamento della prostituzione, e condannato a trent’anni di carcere. Ma gli “amici”, e soprattutto gli interessi nazionali di cui erano arbitri i servizi segreti, gli avrebbero presto garantito una quasi definitiva, e sempre clandestina, “libertà provvisoria” . Questo era avvenuto perché l’abile Lucky aveva svolto un’opera fortemente “patriottica” accanto ai servizi segreti degli States. In particolare, egli avrebbe dapprima aiutato l’amministrazione militare americana per prevenire le prevedibili azioni dei guastatori tedeschi che erano sempre in agguato lungo la costa atlantica a bordo dei loro famelici sottomarini. Svolta con successo, in virtù della sua assoluta signoria sul porto, l’operazione, mister Murray Gurfein gli fece avere in premio una cella confortevole e credenziali per nuovi e più prestigiosi incarichi. Questi incarichi erano appunto quelli che il dirigente del Secret Intelligence americano, mister Earl Brennan, gli affidò quando decise di dargli un ruolo fondamentale nell’organizzare “la penetrazione politica della Sicilia in vista dello sbarco militare” .
Luciano avrebbe dovuto, con tutta la velocità consentitagli dai collegamenti esistenti tra Cosa Nostra americana e l’Onorata Società siciliana,  addirittura organizzare un fronte interno filo-alleato in Sicilia, sfruttando tutta la potenza, sociale, militare, punitiva, della mafia e i suoi rapporti organici con la massoneria . Per questo, Luciano divenne il perno dell’operazione affidata a Cosa Nostra, che portò anche l’Onorata Società siciliana ad aderire in toto alla politica americana in Italia.
 
2) Calogero Vizzini

 Proprio a riguardo dell’Onorata Società siciliana, la vera e propria mafia indigena, ecco comparire la seconda figura, altra grande protagonista di quel tempo, parliamo del boss supremo di questa organizzazione: il “mitico” don Calogero Vizzini.
Don Calò, come era chiamato familiarmente dai suoi “picciotti”, all’arrivo degli americani in Sicilia era già signore di Villalba, sua patria natale, dove possedeva enormi appezzamenti di terreno. Il boss aveva inoltre, oltre ai latifondi, molte miniere di zolfo, il che lo faceva essere a metà strada tra il mafioso agrario latifondista, ancorato alla mafia della preistoria ottocentesca, quella parassitaria dei gabellotti e dei mazzieri per intenderci, e il mafioso proto-industriale rappresentante della mafia nuova, pronta a far affari di ogni genere in nome della grandezza del capitalismo occidentale.
Vizzini aveva imperato anche sotto il Fascismo riuscendo a venir fuori da un brutto crac bancario. Malgrado, a partire dal 1928, subisse il confino a Tricarico in Basilicata, e dal 1929 si dovesse difendere dall’accusa di essere il capo della “mafia delle miniere”, tutto si risolse con una sua trionfale assoluzione. Questa fu vista da tutti i siciliani che sapevano chi realmente fosse “Don Calò” come una vera e propria vittoria della mafia sul regime.
Ma il risultato più importante che le disavventure processuali portarono al Vizzini fu quello di accreditarlo, al momento dell’arrivo degli Alleati, come un antifascista sicuro, come una vittima del regime, come un proto-martire della causa della libertà. In realtà le cose per “l’eroe antifascista” si svolsero così: il boss, che aveva vissuto tutta la guerra lucrandoci sopra, da vero parassita pescecane quale sempre rimarrà,  inserendosi nei traffici mafiosi con i distretti militari e creando un vasto traffico abigeatario della  mafia per rifornire di animali da soma l’esercito italiano, era, prima dell’arrivo degli alleati, “patriottico” e totalmente a favore del regime littorio.
Con l’arrivo dell’esercito anglo-americano, le cose per Don Calò mutarono completamente; nominato sindaco di Villalba da un tenente americano, egli si inserì pienamente nella “liberazione” dell’isola a fianco degli alleati e dei suoi “compari”, in primis Lucky che, espulso nel 1942, abbandonò per sempre New York stabilendosi definitivamente in Italia dove svolse la sua opera di mediatore tra gli Alleati e le gerarchie mafiose, facendo la spola tra Napoli, Genova e Palermo, tutte città che avevano un porto, luogo ideale per organizzare meglio i suoi numerosi traffici. A riguardo della nomina di Don Calò  a sindaco si narra che “i picciotti”, usciti dalla chiesa dove si celebrava la cerimonia per l’investitura, si lasciassero andare a grida di questo tono: “viva la mafia, viva la delinquenza, viva Don Calò” .
Per quanto invece riguarda i rapporti strettissimi intercorsi tra Lucky Luciano e Don Calò, basterà citare questo episodio a mezzo tra il leggendario-mitologico mafioso e la verosimiglianza. A tal proposito Michele Pantaleone racconterà in un suo libro un episodio di un foulard lanciato da un aereo da Lucky Luciano in cui annunciava, a don Calò, l'imminente invasione della Sicilia da parte degli Alleati .
Cosa dire di fronte a tutto questo?
Potremmo rispondere molto mafiosamente che a volte il silenzio vale più di mille parole. Ma una domanda è d’obbligo: chi permise ai mafiosi siculo-americani di arrivare a tanto?
 
3)  Charles Poletti 

Ed ecco comparire la nostra terza figura, l'ultimo tassello di questa triade: il colonnello Charles Poletti che, già avvocato di Roosevelt, e divenuto nel 1942 governatore di New York, divenne, dopo lo sbarco anglo-americano, massimo rappresentante dell'amministrazione alleata in Sicilia e poi nel resto d'Italia .
Egli acquisì, accanto a questi titoli ufficiali, anche un titolo ufficioso: quello di massimo protettore dei mafiosi fatti mandare da Mori nelle patrie galere e liberati dagli Alleati che finsero di prenderli tutti per vittime del regime. 
Fu l'opera miope di quest'uomo, in parte scusabile con l'oggettiva emergenza della situazione, la famosa “nebbia della guerra” superbamente descritta da Liddell Hart nella sua “Storia di una sconfitta” , a creare un rapporto organico tra l'amministrazione alleata, “l'AMGOT”, e quella miscela esplosiva di mafia e separatismo siciliano che sarà il Movimento per l'indipendenza siciliana, il famigerato MIS.

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