1944-1945: TUTTA UN'ALTRA “LIBERAZIONE” di Angelo Ivan Leone



LA FINE DI UN INCUBO

All’inizio del 1944, la speranza della vittoria bellica era definitivamente tramontata per l’asse: le truppe dell’Armata Rossa stavano letteralmente distruggendo in piccoli pezzi la Wermacht tedesca.
In Italia, invece, gli eserciti anglo-americani che avevano aperto proprio nella penisola il tanto auspicato, anche da Stalin per alleggerire la pressione in Russia, secondo fronte in Europa procedevano a rilento. Questo soprattutto perché il fronte italiano era divenuto di secondo piano rispetto all’oramai certa invasione della Francia.
Il piano “Overlord”, che aveva proporzioni immani, faceva ovviamente divenire ogni altro fronte di secondaria importanza. Quello che passò alla storia come lo sbarco in Normandia, nella fredda terminologia militare aveva semplicemente il nome di D-Day, il “Giorno” per eccellenza: il 6 giugno 1944, in cui 1200 navi da guerra, 1600 cargo e oltre 4000 mezzi vennero impiegati nella più grande operazione di sbarco della storia militare che il mondo ricordi, così oltre un milione di uomini fu trasportato sulle coste francesi.
Subito la discussione in seno al comando nazista si imperniò, oltre che sul come arginare l’invasione, sul come considerare quest’ultima, ovvero: era l’unico decisivo sbarco degli Alleati sulla costa francese o ci si doveva attendere un secondo sbarco ancora più massiccio in altri punti della costa come Calais?
Mentre i tedeschi si arrovellavano su simili questioni, dimostrando una volta di più come avessero perso il contatto con la realtà, proprio loro che nella prima fase della guerra erano sembrati di una lucidità spietata e crudele che arrivava al razionalizzare anche le tragedie, gli Alleati sfondarono, grazie al generale americano Patton, il fronte francese il 25 luglio del 1944.
Questo comportò la ritirata di tutto l’esercito tedesco dal nord della Francia. La liberazione di Parigi segnava la fine dell’operazione Overlord.
A novembre del 1944, tutta la Francia settentrionale e il Belgio erano strappati ai tedeschi in rotta. In dicembre, ci fu un avvenimento nella campagna bellica sul fronte occidentale che aveva dello straordinario: i tedeschi, che non avevano fatto altro che ritirarsi dall’avvenuto sbarco in poi, contrattaccarono a sorpresa nelle Ardenne. A gennaio del 1945, ci fu l’estrema controffensiva tedesca in Lorena. Entrambi questi tentativi  di controffensiva teutonica vennero, malgrado la sorpresa iniziale, stroncati. L’ultimo colpo di coda di Hitler era durato lo spazio di un Natale, ma, a feste finite, con il devastante bombardamento su Dresda, effettuato tra il 13 e il 14 febbraio 1945, e l’offensiva scatenata dagli Alleati a marzo su tutto il fronte, la resistenza tedesca venne infine spezzata, con il Reno varcato dalle truppe anglo-americane.
La guerra era oramai agli sgoccioli.
Sul fronte orientale le cose non procedevano diversamente. Dopo la vittoria a Stalingrado, con la resa di Paulus e della sua armata il 2 febbraio del 1943, i russi avevano contrattaccato in agosto su tutto il fronte  giungendo a liberare Kiev, capitale dell’Ucraina, in settembre e arrivando, alla fine dell’anno, a toccare i confini della Romania e della Polonia. Tra l’aprile e il maggio del 1944, l’Armata Rossa liberava tutta l’Ucraina dall’invasore nazista.
Da questo momento in poi, le truppe di Stalin passarono all’offensiva permanente: in luglio, i russi presero la Lituania. Tra l’agosto e il settembre del ’44 le armate sovietiche occupano Romania e Bulgaria, mentre negli stessi mesi, tra agosto e ottobre, divampa l’incendio della rivolta di Varsavia.
A differenza di quanto accadde nel fronte occidentale, con il famoso colpo di coda di Hitler, i nazisti sul fronte orientale non riuscirono a dare nessun regalo di Natale alle truppe sovietiche e si guardarono bene da qualsiasi azione di controffensiva. Furono invece i russi, nel gennaio del 1945, a completare la “loro” liberazione della Polonia. In febbraio, l’Armata Rossa occupava l’Ungheria ed entrava nella Prussia orientale, ovvero nel territorio del III Reich.
Nello stesso febbraio del 1945, ed esattamente tra il 4 e l’11 di questo mese, i presidenti di Inghilterra, Stati Uniti d’America e Unione Sovietica ebbero un incontro a Yalta, un’oscura cittadina della Crimea destinata, da allora in poi, ad una indubbia, anche se opinabile, fama. Infatti, durante questa conferenza, si tracciarono i futuri assetti dell’Europa, con le rispettive zone d’influenza. In marzo, l’inarrestabile avanzata russa arrivò a toccare l’Austria e a penetrare nel cuore della Germania orientale.
Berlino non era mai stata così vicina.
Mentre i suoi eserciti erano in rotta in qualunque teatro di operazione e i tre grandi vincitori discutevano il futuro dell’Europa e del mondo, dando per certa l’ormai imminente vittoria, un uomo continuava imperterrito a discutere con i suoi generali sugli immancabili destini del suo esercito e della razza ariana.
Dopo aver lanciato, il 24 febbraio 1945, il suo ultimo proclama al popolo tedesco, nel quale profetizzava la fine della guerra con la vittoria germanica di lì a dieci mesi, quell’uomo, Adolf Hitler, diede il suo ultimo ordine generale, passato alla storia con il sinistro nome di “Nero-Befehl”, alla lettera l’Ordine Nerone, con il quale l’invasato Führer ordinava la distruzione delle strutture vitali della propria nazione. Quest’ordine non venne, con immenso rammarico del Führer, immaginiamo, eseguito, ma rappresentò il suo ultimo rantolo propositivo e distruttivo prima dell’incombente tragedia, in cui Wagner avrebbe certamente ambientato il suo “Crepuscolo degli dei” tanto amato dal Führer.

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