Retorica e cornici ideologiche nella propaganda politica
Retorica e cornici ideologiche nella propaganda politica
Quando i ministri ignorano le evidenze scientifiche
di Claudio Loiodice
«Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma la capacità di comprendere la vita e i nostri rapporti con gli altri uomini.»
Antonio Gramsci
Ascoltando le dichiarazioni fatte dalla ministra Roccella e dal ministro Nordio, peraltro non nuovi ad affermazioni di questo tipo, mi è tornata alla mente la citazione di Gramsci. Entrambi sono forniti di ottimo percorso accademico: l’una laureata in Lettere moderne, l’altro in Giurisprudenza. Eppure, pur di far risaltare il proprio pensiero ideologico, non hanno esitato a sostenere che: Roccella: «I femminicidi non calano con l’educazione sessuale». Nordio: «Il codice genetico del maschio non accetta parità». Nulla di tutto questo è supportato da ricerche specifiche sul fenomeno dei femminicidi o sull’utilità dell’educazione affettiva e sessuale, anzi è il contrario. Nemmeno intendo entrare nel merito delle loro opinioni – sebbene io la pensi esattamente al contrario – perché il punto non è ciò che credono, ma il metodo comunicativo e la totale assenza di dati scientifici che confermino le loro affermazioni.
Educazione sessuale, affettiva e riduzione della violenza:
Nei Paesi che hanno introdotto l’educazione affettiva e sessuale a scuola, il dato delle violenze sulle donne e dei femminicidi è calato – talvolta poco, ma comunque calato. La domanda reale è: quanto questi programmi, somministrati sin dall’infanzia, possano ridurre nell’adulto l’insorgere di comportamenti violenti? Quando parlo di “atteggiamento violento”, mi riferisco a quelle condizioni nelle quali si pone il “predatore”, quasi sempre maschio (la quota femminile è residuale), nei confronti della vittima. Tutte le condizioni che elencherò – soprattutto l’IPV – rappresentano, in almeno l’80% dei femminicidi, un’anticipazioni del delitto. Il femminicidio è statisticamente raro, rispetto alla vastità delle violenze di genere, per i “modesti studiosi” voglio specificare: raro non vuol dire tollerabile. In una società civile, anche un solo caso dovrebbe allarmarci. Prima di descrivere i principali indicatori di rischio, è necessario chiarire perché educazione e sviluppo evolutivo contano.
Le fasi evolutive: perché l’educazione affettiva è determinante
I bambini in età scolare, dai 6 agli 11 anni, come compito evolutivo affrontano il passaggio verso un pensiero logico e concreto; iniziano a rafforzare il senso di competenza, cercando di superare il sentimento di inferiorità e di consolidare la capacità di produzione autonoma. Inoltre, cosa molto importante per il bambino – che lo porterà ad essere o meno un buon “animale sociale” (Aristotele) – in questa fase inizia ad interiorizzare l’importanza delle regole e si avvia verso una capacità autonoma di concepire la morale come proprio patrimonio. Nella fase preadolescenziale (10-13 anni), con alle porte la pubertà e, di conseguenza, il cambiamento corporeo, il bambino inizia a formarsi una propria identità, un’impronta sessuale e identitaria che si confronta con il gruppo sociale. Si cominciano a comprendere le emozioni più intime e complesse, come il senso di colpa e la vergogna, che, se non accompagnate a un’educazione adeguata e a modelli sociali positivi, possono provocare un aumento dell’ansia e dell’insicurezza nelle prime sperimentazioni, con il rischio di comportamenti imitativi ed emulativi derivati da concetti o pratiche scorrette (ad esempio, siti pornografici). Il trampolino di lancio verso l’età adulta si costruisce durante l’adolescenza (13-18 anni, oggi spesso spostata in avanti di qualche anno). In questa delicata fase il ragazzo costruisce la sua identità personale, tentando di non cadere in una confusione identitaria. Inizia a ricercare e immaginare la propria autonomia dalla famiglia e, soprattutto, vive generalmente le sue prime relazioni affettive, sentimentali e sessuali. L’adolescente forma il suo pensiero critico nei confronti delle leggi e dell’autorità e inizia ad assimilare il dovere dell’assunzione di responsabilità. In questa fase possono facilmente insinuarsi pericolosi tarli, come l’esposizione al conformismo verso gruppi devianti e tossici. L’analisi di queste fasi della crescita del minore suggerirebbe il buon senso di considerare la formazione scolastica uno strumento indispensabile e idoneo ad aiutare gli studenti a formarsi un modello individuale e sociale proteso verso un’affettività e una sessualità serena e consapevole. Riprendendo il filo sulle situazioni devianti a cui avevo accennato, passo a descriverle. Parto da Intimate Partner Violence – IPV, ovvero violenza domestica del partner: violenza fisica; violenza sessuale; violenza psicologica; violenza economica; violenza coercitiva e di controllo. Per valutare, in ambito vittimologico e criminologico, un evento omicidiario a danno di una donna da parte di un soggetto conosciuto e frequentato intimamente, e per suggerire alla politica provvedimenti di natura educativa che abbiano efficacia, si devono tenere presenti questi parametri. Con Dating Violence si descrivono quelle forme di violenza che avvengono, tipicamente in fase adolescenziale o giovanile, all’interno di relazioni sentimentali o sessuali tra persone non conviventi, o in situazioni di clandestinità.
Il fenomeno è purtroppo in grande crescita, anche per il dilagare dei siti d’incontro. Come spiegherò nelle conclusioni, un giusto apporto educativo mitigherebbe, e di molto, questo rischio. Le fasi che caratterizzano, non esclusivamente, il “dating violence” sono: violenza fisica (spinte, schiaffi, colpi, tentativi di strangolamento non culminati nella morte della vittima o in lesioni preoccupanti); violenza psicologica ed emotiva (gelosia ossessiva, controllo della vittima, tentativo di isolamento, umiliazione, che spesso portano alla depressione dell’adolescente e rischio suicidario); violenza sessuale (forzature che portano ad andare oltre il consenso della partner, ricatti e pressioni anche dopo il rapporto sessuale violento); violenza informatica (controllo dei social e dello smartphone, ricatti estorsivi con minaccia di pubblicazione delle immagini della vittima, spesso “catturate” con l’inganno). Le ricerche inducono, anche in questo caso, a individuare il dating violence come un adattamento culturale negativo, un replicatore di schemi che nell’adulto sfocia nella violenza domestica e, pertanto, può portare anche al femminicidio. È considerato dai ricercatori un precursore diretto della violenza domestica adulta: chi normalizza la violenza nelle relazioni giovanili tende a replicare schemi simili in età adulta. La coercizione sessuale (Sexual Coercion) si riferisce a tutti quei comportamenti manipolatori che inducono, o meglio costringono, anche senza l’uso della violenza esplicita e fisica, una persona ad assecondare un atto sessuale contro la sua volontà: pressioni psicologiche continue, petulanti e insistenti, che fanno leva sull’insicurezza e sul difetto evolutivo della vittima; subdole e vittimistiche affermazioni da parte del “carnefice” come “se mi ami, me lo devi”, quindi una pesante manipolazione emotiva; ricatti, come quello di interrompere la relazione, facendo leva ancora una volta sulla fragilità emotiva della vittima; induzione ad assumere, talvolta inconsapevolmente, sostanze stupefacenti o alcool tali da ridurre la capacità di opporsi; infine, sfruttamento della dispotica posizione di potere imposta dal “carnefice”, forte talvolta dell’appartenenza a un contesto sociale radicato su convinzioni arcaiche, spesso dovute a retoriche del passato e a interpretazioni scorrette delle religioni. Le coercizioni sessuali sono fenomeni molto diffusi e che si stanno ancora propagando con una velocità preoccupante, anche a causa dello stravolgimento delle norme provocato dall’uso incontrollato dei moderni strumenti di comunicazione di massa. RMA (Rape Myth Acceptance), ovvero accettazione del mito dello stupro. È un fenomeno millenario, oggi amplificato dall’incontrollata e facile divulgazione tramite social media. I concetti, che purtroppo talvolta compaiono anche in sentenze assolutorie, includono una serie di giustificazioni del comportamento abusante: la donna avrebbe mantenuto un atteggiamento provocatorio; le denunce sarebbero false; la vittima “se l’è cercata” vestendosi in modo provocatorio; se non c’è violenza fisica non è stupro;
la denuncia viene fatta per vendetta, per ottenere clamore mediatico o per ottenere denaro; e, infine, anticipando la critica al ministro Nordio, l’idea che gli uomini “non possano trattenersi”. Questi elementi, posti a giustificazione di comportamenti altamente immorali, tendono quindi a minimizzare la violenza, a indurre la società a tollerare questo tipo di comportamento coercitivo e sessuale e ad azzerare l’effetto empatico che normalmente si genera verso la vittima. I programmi educativi di affettività e sessualità puntano in maniera sostanziosa a combattere soprattutto questo aspetto, con un approccio utilizzato da molti enti sulla base del c.d. GTE (Gender-transformative education). Spero di aver spiegato perché sia fuorviante e ingannevole collegare l’educazione sessuale o affettiva alla riduzione dei femminicidi nel breve periodo. Si tratta invece di processi culturali attraverso i quali il mondo sta cercando di colmare danni che si trascinano da millenni, come abbiamo visto. Ora, mi chiedo perché un ministro della Repubblica, che avrebbe la responsabilità delle politiche familiari, non abbia tenuto conto che questi temi siano da anni assimilati da organismi internazionali come: OMS, UNICEF, UNESCO, UN Women ed altri. Passiamo a parlare di Nordio. Quando dice: «Il codice genetico del maschio non accetta parità», non si tratta solo di una banale semplificazione, dovuta al fatto che, per sua stessa ammissione, si definisce un “modesto studioso”, ma ci troviamo di fronte a un’evidente ignoranza della biologia e degli elementi più semplici della sociologia e dell’antropologia. Biologicamente, in senso stretto, il “codice genetico” – cioè la corrispondenza tra triplette di DNA e amminoacidi – è lo stesso per tutta la specie umana. Noi maschi e le femmine non abbiamo codici genetici diversi. Condividiamo lo stesso codice e gran parte del genoma. Le differenze si trovano principalmente nei cromosomi sessuali e nei pattern di espressione genica, ma queste differenze non portano in alcun modo a dedurre che esista, nei maschi, una sorta di “impossibilità genetica” ad accettare la parità o ad essere propensi alla violenza sessuale. Se poi aggiungiamo i fattori epigenetici – ma non pretendo che i “modesti studiosi” sappiano cosa siano – cioè quei processi chimici del DNA che regolano quali geni attivare e quali spegnere, ci rendiamo conto che sono proprio i fattori ambientali, educativi e le esperienze sociali a migliorare (o peggiorare) il nostro comportamento nei rapporti sociali, affettivi, relazionali e sessuali.
Elenco alcune frasi tratte da discussioni serie in ambito mondiale:
• «La violenza contro le donne è radicata nella disuguaglianza di genere e nelle norme sociali che legittimano il dominio e la violenza maschile, non in un “codice genetico”.» (medicamondiale.org)
• OMS, fact sheet “Violence against women” (2024): indica la gender inequality e le norme sociali sull’accettabilità della violenza come cause radice della violenza contro le donne.
• Dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne: definisce la violenza come «manifestazione di rapporti di potere storicamente diseguali fra uomini e donne».
• Studi comparativi mostrano che, dove l’uguaglianza di genere è maggiore, i tassi di violenza di partner e di femminicidi sono più bassi, a parità di altre condizioni.
In Spagna, ad esempio, ricerche hanno messo in relazione la mortalità per violenza di partner con gli indici di disuguaglianza di genere: le comunità più egualitarie registrano tassi più bassi.
In considerazione dei risultati internazionali, quando cambiamo le norme, le tecniche educative e il contesto socioeconomico in cui le violenze si radicano, otteniamo una riduzione del fenomeno. Questo dimostra che è fuorviante, sbagliato e persino sciocco affermare che la violenza sia “scritta” nei geni. È assodato, pertanto, che programmi nazionali e comunitari che lavorano sull’educazione del maschio e su una maschilità non violenta, promuovono l’uguaglianza e portano a evidenti riduzioni della violenza contro le donne. Il fatto che cambiare le norme cambi i comportamenti (anche in pochi anni) è, di per sé, una smentita empirica dell’idea che “il maschio, per codice genetico, non accetta la parità”. In conclusione, non si possono tollerare da nessuno queste sciocche frasi, ma è ancor più inaccettabile sentirle da chi ha il dovere di governare la Nazione e di guidare la popolazione verso processi culturali sempre più mirati contro la violenza di genere e gli atteggiamenti predatori nei confronti delle donne.
Fonti di studio:
Kim, E.J. (2023). A Meta-Analysis of the Effects of Comprehensive Sexuality Education. PMC. PMC
Barriuso-Ortega, S. (2024). Sex education in adolescence: A systematic review of school‐based sexuality education programmes. ScienceDirect. ScienceDirect
Illinois Rape Myth Acceptance Scale (IRMA) – Payne et al., 1999. emerge.ucsd.edu+2Forensic Psychiatry Institute+2
Martini, M., Tartaglia, S. & De Piccoli, R. (2024). Assessing Rape Myth Acceptance. Iris
Goldfarb, E.S. (2025). Promising Approaches to Effective Comprehensive Sex Education. Journal of Adolescent Health. jahonline.org
Rivenes Lafontan, S., Jones, F., & Lama, N. (2024). Exploring Comprehensive Sexuality Education Experiences and Barriers among Students, Teachers and Principals in Nepal. Reproductive Health, 21:131. BioMed Central
Diaz, T.C. (2024). Researching youth voices on Comprehensive Sexuality Education (CSE) programmes: a qualitative review. University of Bologna. encp.unibo.it
Rodriguez-García, A. et al. (2025). Effectiveness of Comprehensive Sexuality Education to Reduce Risky Sexual Behaviours Among Adolescents: A Systematic Review. MDPI, Sexes, 6(1):6. mdpi.com
Claudio Loiodice



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