A Vittoria l’ennesimo dramma della devianza. Di Claudio Loiodice



Ascoltando alla radio, con le lacrime, il racconto di quel bolide piombato addosso ai due cuccioli di uomo, mi torma alla mente la mia infanzia.
Anche noi, bambini degli anni sessanta, spesso ci accucciavamo seduti sul cordolo del marciapiede. Ci raccontavamo sogni e speranze… e quel dolore delle ginocchia sbucciate, dopo essere stati catapultati giù dalla bicicletta lanciata nella discesa più ripida del paese.
Chi mai avrebbe temuto della furia di cavalli meccanici impazziti! eravamo lì, nella calura estiva del nostro sud. Eppure anche allora, forse più di oggi, c’era chi, incurante del pericolo, pigiava sull’acceleratore per far sentire il rombo, smarmittato, della macchina appena comprata a rate. Ricordo un fatto analogo accaduto tra le strade del mio paese quando ero bambino. Lì, nella cittadina dove sono cresciuto non c’era la mafia. Quella bellissima terra, alle pendici del nobile Monte Vulture, un vulcano inattivo, che ha trasmesso la temperanza vulcanica alle persone che la vivono, tutto sembrava dolce, persino quel rombo di motori che raramente, ma rumorosamente, attraversavano le strade. Prima di chiedermi il perché sia accaduto, mi sono chiesto quanta paura quei bambini hanno provato negli attimi precedenti al dramma. Uno è spirato sul colpo, l’altro, forse ancora più sfortunato, lotta con la morte, ma non sa che, semmai vincesse, la sua sarebbe una esistenza mutilata. Le sue tenere gambe sono state amputate. La mafia in questo caso c’entra poco, sebbene gli occupanti di quel mezzo assassino hanno non solo un curriculum criminale e una discendenza mafiosa, bensì le sembianze lombrosiane del male.
In questo caso attribuire le origini della prepotenza, dell’arroganza e disprezzo delle leggi e della vita, alla discendenza mafiosa sarebbe un grave errore di sottovalutazione del fenomeno della devianza sociale.
La mafia esiste per un’unica ragione: l’assenza delle Istituzioni. Quel becero individuo ragusano non ha spinto l’acceleratore percorrendo quel vicolo solo perché mafioso, anche perché mafioso. L’ha fatto, dopo aver assunto droga e alcol, perché, come spesso accade in quelle aree, tutti sanno, o presumono di sapere, che il controllo che le Istituzioni dovrebbero esercitare è minimo, se non in alcuni casi addirittura nullo. Ci siamo dotati di norme per regolare la vita sociale, per cercare di limitare la natura maligna dell’essere umano. In spazi dove le regole non ci sono o non vengono applicate, l’istinto anarchico, predatorio, violento dell’uomo prende il sopravvento, sapendo che difficilmente sarà punito. La condotta del troglodita guidatore, non prevedeva l’uccisione dei bambini, a mio parere la sua deficienza mentale non gli consente nemmeno di valutarne le conseguenze. L’ha fatto perché deviato sociale. Al suo posto ci poteva essere anche un altro soggetto poco intimorito dalle norme di convivenza civile. Se ne deduce che è tutta la cittadinanza, specie quella maggioranza di soggetti onesti e lavoratori, che si dovrà cospargere il capo con la cenere. Sono le Istituzioni che dovranno chiedere perdono per l’abbandono, l’oblio al quale hanno condannato tante zone del nostro Paese. È devianza, è inettitudine, sia non rispettare le regole minime, come allacciare le cinture di sicurezza, sia, per chi è preposto, non sanzionare i trasgressori. Non è stata la mafia a piombare su quei bambini, è stata la devianza. Esiste però forte relazione tra devianza sociale e mafia, perché in aree dove l’abbandono sociale è più marcato, nascono e proliferano disvalori mafiosi.

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