RICEVO DALL'AGENTE MEGAN SUL 21 MARZO
“A Padova si vive la primavera della memoria e dell’impegno”.
21 marzo, Aula di Assise “Falcone-Borsellino” – Palazzo di Giustizia
Ho riflettuto poco prima di accingermi a scrivere il report per la giornata dedicata alla memoria e all’impegno. O forse avevo tutto in mente da un po’.
Penso che questa potrebbe essere la lettera da destinare ai ragazzi che non vogliono veder morire i propri sogni.
E disegno fiori e stelle sul libro “Liberi tutti”, che ho portato con me questa mattina e che poggio sul banco vuoto di un pubblico ministero. E rileggo alcuni passi ancora una volta.
Qui, nell’aula del Tribunale di Padova intitolata ai giudici “Falcone e Borsellino”, guardo il disegno del volto del Giudice Caponnetto che i ragazzi del coordinamento provinciale di Libera stanno sistemando al banco dei Giudici e leggo ancora: “Rappresento l’Antimafia che agisce contro i crimini, l’Antimafia della repressione, ma ho bisogno dell’Antimafia della speranza, del consenso e dell’impegno di tutti voi” (P. Grasso cit.)
Mi risuonano le voci che ho ascoltato negli ultimi giorni: ma come si fa a sperare quando sui quotidiani leggi di un’antimafia fine a se stessa (quando non corrotta), di un’antimafia fatta di troppi consessi pubblici e belle parole, talvolta distratta e disimpegnata a realizzare, a costruire. E ti ricordi di quell’altra Antimafia, quella delle operazioni di polizia, del coordinamento e del “vis unita fortior”, oggi depauperata di uomini e mezzi. Ma come si fa a vivere in un paese di uomini e donne disilluse, tutti disincantati, senza essere ogni giorno costretti a sforzarsi di sorridere, a inventarsi la vita, a cercare di dare ossigeno a progetti multidisciplinari, a incitare ad un maggiore rigore morale, mentre intorno aleggia l’inerzia della morale?
Corre prepotente quell’impulso di gridare al mondo tutta l’indignazione possibile per un Paese che sembra non riservare sorprese, se non quando arrivano quelle agghiaccianti e cruenti, e ti trafiggono il cuore; come la notizia di qualche giorno fa, di poche ore fa: la mafia ha ucciso ancora bambini.
E allora lo sguardo lo rivolgo alle mie spalle, quando brusìi accompagnano l’ingresso in aula di 140 studenti degli Istituti scolastici di secondo grado di Venezia, Padova e provincia. Ci sono proprio tutti: l’Algarotti di Venezia, il Marchesi, il Valle, l’Einaudi Gramsci, il Cornaro di Padova, il Galilei di Selvazzano Dentro. Tutti ordinati, insieme ai loro insegnanti, i professori Antonio Bincoletto, Gabriele Toso, Maria Rosaria Putignano, Cinzia Noventa, Marta Carpanese, si sono fissati appuntamento alle 9.00 presso il luogo dove la Giustizia è amministrata.
E sorrido finalmente. In un attimo l’aula si è riempita e in fondo ad essa, sui banchi del collegio e dei giudici popolari, proprio all’altezza di quella Giustizia uguale per tutti, sono proiettate immagini e nomi di tutte le vittime di mafia, così com’è nella tradizione dell’Associazione Libera. Mai visti così emozionati magistrati e avvocati.
A introdurre: Valerio Cataldi, giornalista del TG 2. Premiato quest’anno da Articolo 21 come “inviato serio e sempre rigoroso nell’accertamento dei fatti e delle fonti, un cronista attendibile che nulla concede al sensazionalismo e al colpo ad effetto”.
Valerio che scrive storie di pescatori e naufraghi salvati dal mare e imprigionati a Lampedusa; di Rose –giovane nigeriana- che affiora dall’oceano; scrive di ragazzi con la pistola, quelli di Scampia; quelli che se parli di rispetto di piccole regole e dell’obbligo di indossare il casco, ti rispondono “Ma io nu voglio murì accis”. Valerio ci raggiunge perché forse questa storia, la nostra storia, deve essere raccontata.
Ed inizia così la nostra primavera dell’accoglienza e dell’ascolto a Padova; la nostra primavera della conoscenza.
IL BENVENUTO
Con i saluti del presidente del Tribunale Sergio FUSARO e del Giudice Domenica GAMBARDELLA, alla presenza del Presidente della sezione penale di Corte di Assise dott. Alessandro APOSTOLI CAPPELLO, del Pubblico Ministero Vartan GIACOMELLI e di tanti avvocati, cancellieri e operatori della Giustizia, il palazzo di Giustizia per mezza giornata si trasforma. Si spogliano per qualche minuto della toga; quella veste nobile e tradizionale indossata nei dibattiti processuali; simbolo dell’alta funzione sociale, intellettuale e morale che sono chiamati a svolgere gli uomini e le donne di questo palazzo. E lo fanno per accogliere loro: i privilegiati studenti di Padova e Venezia. Più volte la dottoressa Gambardella ha affermato che i giovani hanno bisogno di essere guidati amorevolmente verso le scelte più giuste. Per questo motivo il palazzo di Giustizia di Padova oggi diventa un spazio d’indagine della vita pubblica che può educare all’esercizio delle virtù civili.
Il Vice Questore della Polizia di Stato dott.ssa Sara CORBASCIO, Responsabile dell’Ufficio Personale e delegata del Questore di Padova dott. Ignazio Coccìa, presenta ai ragazzi le iniziative del Dipartimento di Pubblica Sicurezza in materia di legalità, parla della necessità di sollecitare sempre più la costruzione di ambiti multidisciplinari, condivisi tra Istituzioni apparentemente distanti come la Scuola e la Polizia. Racconta di laboratori di cittadinanza attiva e partecipata ma riporta anche alla memoria la sua professione di poliziotto in terra di Calabria. E scopriamo così un funzionario forte, determinato nel ruolo che ogni giorno è chiamato a svolgere; eppure i ragazzi vanno oltre quella divisa, non notano la 92 parabellum portata sul fianco, perché non è quella che fa la differenza, e la chiamano solo Sara.
LA MEMORIA
Valerio Cataldi invita così i rappresentanti delle due associazioni che hanno realizzato l’evento: La Fondazione Antonino Caponnetto e il Presidio Silvia Ruotolo, accogliendo dal coordinamento provinciale di Libera Vittoria DE LUTIIS, giovane referente del Presidio Silvia Ruotolo. Vittoria presenta le attività di Libera previste sul territorio nazionale, parla dell’incontro voluto da Don Ciotti tra i familiari delle vittime di mafia e Papa Francesco, del viaggio a Latina e informa sui laboratori creativi in corso presso l’Istituto Marchesi di Padova: hanno inventato il gioco del Monopoli sui beni confiscati. Sollecitata ed emozionata, espone i profondi motivi di questa collaborazione che vede protagoniste le istituzioni, le FFPP e i giovani. Pochi sanno che alcuni di questi ragazzi hanno deciso di partire stanotte per Latina, per raggiungere gli altri amici e non mancare a un appuntamento così importante.
Tocca a Renato SCALIA, membro della Fondazione Antonino Caponnetto, portare alla platea i saluti di nonna Betta Caponnetto. Renato ci racconta il proprio riscatto sociale, di ragazzo di periferia. Viene da un quartiere difficile Renato: Centocelle. Qualche suo compagno di giochi poteva essere collegato alla banda della Magliana; il bar sotto la sua abitazione era frequentato da quei criminali che hanno ridotto un quartiere di Roma alla Chicago degli anni 30, consorterie dedite al traffico di droga, prostituzione, rapine; racconta della sua scelta di stare dall’altra parte, dell’intensa esperienza di poliziotto dell’Antimafia e dell’impegno assunto da qualche anno nelle attività della Fondazione Caponnetto. Spiega agli studenti il Progetto I Giovani Sentinelle della Legalità, promosso dalla Fondazione e che da quest’anno è partito anche in alcune scuole del Veneto. Ricorda che in sala sono presenti le rappresentanze di due degli Istituti coinvolti: l’Istituto Algarotti di Venezia con i docenti: Giusi Sazio e Domenico Roccaforte, e il Liceo Galileo Galilei di Selvazzano Dentro con il prof. Giovanni Aliberti.
Segue, attraverso un collegamento telefonico, un’intervista esclusiva a Maggie RUOTOLO, giovane figlia di Rocco Ruotolo, testimone di giustizia. Con il contributo della testimonianza resa da questo piccolo imprenditore, è stato smantellato un gruppo camorristico di origine campana, che si era stabilito nel cuore del Veneto per impossessarsi di centinaia di aziende in difficoltà. La ragazza e la sua famiglia dal 2011 vivono sotto protezione dello Stato.
Come hai vissuto questa esperienza e com’è la tua vita oggi, Maggie? Chiede Valerio Cataldi.
Dico a me stessa: sarà un racconto già noto, una strada che ho battuto con la memoria più volte; eppure trovo in quelle parole di giovane donna una nuova apertura mentale. Valerio ascolta in religioso silenzio, in Aula c’è quiete. Perché stavolta non c’è il silenzio omertoso dei processi di mafia, è un silenzio confortante e accogliente. E’ il silenzio di giovani coscienze, che ricercano la bellezza, la verità. Valerio Cataldi non cerca la storia ad ogni costo e lascia che sia Maggie a mettersi in gioco; Maggie che dimentica in qualche passo del suo discorso i suoi sogni e le speranze di giovane studentessa e ci regala così il suo dolore. Maggie che afferma che le era quasi impossibile credere a una storia di mafia vissuta nel ricco Nord-Est.
Volgo di nuovo lo sguardo alla platea; forse mi sbaglio, traspare una commozione che poco combacia con l’immagine di giovani choosy!
Valerio chiama accanto a sé Benny CALASANZIO, giovanissimo scrittore. Benny è il nipote di Paolo e Giuseppe BORSELLINO, imprenditori siciliani del calcestruzzo, vittime di mafia proprio per essersi ribellati; solo omonimi del giudice, che per scelta della mafia devono morire proprio quel lontano 1992. Che scherzi crudeli a volte ti riserva il destino, quando rischi di vederti scippare anche la memoria dei tuoi morti! Benny è autore del libro, appena pubblicato: 'Abbiamo vinto noi', è la vita di Ignazio Cutrò, imprenditore calabrese che ha detto NO alla mafia (Ed. Melampo). Un libro che Benny non ha mai definito un romanzo, e forse ha proprio ragione: è la storia di questo martoriato paese; di un uomo –e di tanti altri- che si è ritrovato a urlare prima ancora che contro la mafia, contro lo Stato o, almeno, contro alcuni che affermavano di rappresentarlo. Benny non ha paura; Benny ha il coraggio di urlare i nomi di mafiosi che hanno sporcato le terre del Nord; proprio qui, dove imprenditori si sono negati il diritto di costituirsi parte civile.
Dopo una breve pausa ripartiamo con la sessione dedicata all’impegno. E’ questo il momento in cui abbiamo voluto affermare ancora una volta: Cosa significa Legalità partecipata, cittadinanza attiva? E come avviare processi interattivi di prevenzione del sociale mafioso?
L’IMPEGNO
In sostituzione di Marco MASCIA, Direttore del Centro interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova è presente la Prof. Paola DEGANI, ricercatrice dell’Università patavina, docente di Politiche pubbliche e Diritti Umani. Dal 2003 al 2009, è stata nomina dal Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza formatrice presso i Reparti Mobili della Polizia di Stato. Alla prof. DEGANI le è stata assegnata la cattedra di Deontologia professionale, tutela dei diritti costituzionali e dei diritti umani, con particolare riguardo alla problematica del ruolo della Polizia nella prevenzione delle violazioni dei diritti umani (discriminazione razziale ) e nella promozione del loro rispetto. Paola DEGANI racconta l’esperienza che vive da cinque anni con la Questura di Padova, avendo la stessa avviato –attraverso un protocollo d’intesa- con il Centro Diritti Umani incontri informativi e formativi comuni tra studenti e poliziotti in materia di Diritti Umani. Incontri che si sono tenuti proprio nell’aula magna dello storico Reparto Mobile di Padova. Espone anche le criticità emerse in questi anni, rilevando che un’Istituzione deve essere in grado di riflettere e di migliorarsi anche sulle difficoltà e auspica che in un prossimo futuro il protocollo d’intesa possa rinnovarsi con nuovi e moderni indirizzi d’informazione e formazione.
Con Paola DEGANI è presente Ines TESTONI, prof. associato dell’Università di Padova, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata. Direttrice del Corso di Alta Formazione per la Prevenzione del Sociale mafioso avviato nell’anno accademico 2012-2013 che ha visto alternarsi illustri relatori come Nando dalla Chiesa, Enzo Ciconte, Luciano Violante e tanti altri. Studiosa del fenomeno mafioso ha rivolto la sua attenzione negli ultimi anni alla creazione di ambiti relazionali, gruppi interattivi tra Istituzioni pubbliche, enti creditizi, FF.PP. per la ricerca di un metodo condiviso e condivisibile di lotta alle mafie. Ha parlato di crisi dei valori nella società moderna di gestione della fiducia, fino a porre una seria riflessione sui legami “amicali e/o parentali” che per troppe volte hanno inciso nella costruzione sociale dei valori democratici e della legalità (fino a corromperli)
La Fondazione Caponnetto, per chiudere la giornata ha voluto che fosse Dario MEINI, giovane collaboratore della Fondazione e nipote di Antonino Caponnetto. Dario ha presentato un profilo di Nino Caponnetto diverso da quello che conosciamo. Un uomo: nonno Nino che Dario da bambino non riusciva “a sentire interamente suo”; racconta dell’impegno e del rigore di un magistrato prima e di un nonno impegnato nelle scuole poi, a contatto diretto con i giovani che amava indicare come “sentinelle della Legalità”. La voce di Dario è ferma e decisa quando afferma: “Le organizzazioni mafiose temono più la scuola, l’istruzione, il confronto, non gli apparati preposti alla loro repressione!” e invita i giovani studenti a fare rete, a inventarsi spazi condivisibili perché aggiunge “siamo noi, è questa società che non riesce a realizzare gruppi positivi e permette alle mafie di annidarsi sulle nostre debolezze”. Che emozione quando, guardando negli occhi i ragazzi, chiude il suo intervento con i versi di “Conosco delle barche” (Jacques Brèl): “Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto, ma più coraggiose e più forti. Conosco delle barche straboccanti di sole perché hanno condiviso anni meravigliosi. Conosco delle barche che tornano sempre quando hanno navigato. Fino al loro ultimo giorno, e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti perché hanno un cuore a misura di oceano.”
Arriva quasi di corsa l’attore Sebastiano Lo Monaco e qualcuno tra i ragazzi lo riconosce.
Sebastiano Lo Monaco, proprio sul fine settimana dedicato alla memoria e all’impegno, con Mariangela D’abbraccio e Turi Moricca, porta in scena al Teatro Comunale Mario del Monaco di Treviso lo spettacolo DOPO IL SILENZIO, con la regia di Alessio Pizzech, tratto dal Libro “Liberi Tutti” di Piero Grasso. Un testo scritto in collaborazione con Grasso da uno dei più bravi drammaturghi italiani Francesco Niccolini.
Lo Monaco ha voluto essere presente in questa giornata di commemorazione importante, proprio per il legame che ha con il mondo dell’associazionismo e ci regala uno dei passi più toccanti del primo spettacolo tratto dal libro di Grasso: “Per non morire di mafia”; tira dalla tasca dei pantaloni un accendino, simbolo di un legame forte tra Giovanni Falcone e Pietro Grasso e con lui ripercorriamo –in maniera diversa- un pezzo di storia attraverso la nobile arte del Teatro.
Le conclusioni giungono da Valerio Cataldi che prima dei saluti di commiato chiede alla direttrice del Coro del Tribunale di Padova, avv.to Stefania Martin, di presentare ogni singolo elemento e i brani preparati.
Con le note di The sound of silence (P. Simon e Garfunkel) si chiude così una storia collettiva di uomini e donne, operatori della Giustizia, studenti e professori, giornalisti e attori, che celebrando coloro che non ci sono più in un’aula di Tribunale, hanno opposto a una subcultura sanguinaria, fatta d’ignoranza, corruttèla e sopraffazione, una forza civile che sceglie la strada della conoscenza e del sapere come percorso verso uno Stato di diritto e di piena legalità.
Fuori dall’Aula del Tribunale, saluto i ragazzi del Presidio Silvia Ruotolo: Lorenzo il nostro simpatico tecnico-informatico, Matteo, Francesca, Eleonora, Vittoria, Aurora, Clara, Giulia, Carlo, Lorenzo, Diego, Claudia, Marianna, Elisa, Gioele, Francesco… e mi accorgo che Padova è avvolta in un abbraccio di tiepido sole.
Agente Megan
21 marzo, Aula di Assise “Falcone-Borsellino” – Palazzo di Giustizia
Ho riflettuto poco prima di accingermi a scrivere il report per la giornata dedicata alla memoria e all’impegno. O forse avevo tutto in mente da un po’.
Penso che questa potrebbe essere la lettera da destinare ai ragazzi che non vogliono veder morire i propri sogni.
E disegno fiori e stelle sul libro “Liberi tutti”, che ho portato con me questa mattina e che poggio sul banco vuoto di un pubblico ministero. E rileggo alcuni passi ancora una volta.
Qui, nell’aula del Tribunale di Padova intitolata ai giudici “Falcone e Borsellino”, guardo il disegno del volto del Giudice Caponnetto che i ragazzi del coordinamento provinciale di Libera stanno sistemando al banco dei Giudici e leggo ancora: “Rappresento l’Antimafia che agisce contro i crimini, l’Antimafia della repressione, ma ho bisogno dell’Antimafia della speranza, del consenso e dell’impegno di tutti voi” (P. Grasso cit.)
Mi risuonano le voci che ho ascoltato negli ultimi giorni: ma come si fa a sperare quando sui quotidiani leggi di un’antimafia fine a se stessa (quando non corrotta), di un’antimafia fatta di troppi consessi pubblici e belle parole, talvolta distratta e disimpegnata a realizzare, a costruire. E ti ricordi di quell’altra Antimafia, quella delle operazioni di polizia, del coordinamento e del “vis unita fortior”, oggi depauperata di uomini e mezzi. Ma come si fa a vivere in un paese di uomini e donne disilluse, tutti disincantati, senza essere ogni giorno costretti a sforzarsi di sorridere, a inventarsi la vita, a cercare di dare ossigeno a progetti multidisciplinari, a incitare ad un maggiore rigore morale, mentre intorno aleggia l’inerzia della morale?
Corre prepotente quell’impulso di gridare al mondo tutta l’indignazione possibile per un Paese che sembra non riservare sorprese, se non quando arrivano quelle agghiaccianti e cruenti, e ti trafiggono il cuore; come la notizia di qualche giorno fa, di poche ore fa: la mafia ha ucciso ancora bambini.
E allora lo sguardo lo rivolgo alle mie spalle, quando brusìi accompagnano l’ingresso in aula di 140 studenti degli Istituti scolastici di secondo grado di Venezia, Padova e provincia. Ci sono proprio tutti: l’Algarotti di Venezia, il Marchesi, il Valle, l’Einaudi Gramsci, il Cornaro di Padova, il Galilei di Selvazzano Dentro. Tutti ordinati, insieme ai loro insegnanti, i professori Antonio Bincoletto, Gabriele Toso, Maria Rosaria Putignano, Cinzia Noventa, Marta Carpanese, si sono fissati appuntamento alle 9.00 presso il luogo dove la Giustizia è amministrata.
E sorrido finalmente. In un attimo l’aula si è riempita e in fondo ad essa, sui banchi del collegio e dei giudici popolari, proprio all’altezza di quella Giustizia uguale per tutti, sono proiettate immagini e nomi di tutte le vittime di mafia, così com’è nella tradizione dell’Associazione Libera. Mai visti così emozionati magistrati e avvocati.
A introdurre: Valerio Cataldi, giornalista del TG 2. Premiato quest’anno da Articolo 21 come “inviato serio e sempre rigoroso nell’accertamento dei fatti e delle fonti, un cronista attendibile che nulla concede al sensazionalismo e al colpo ad effetto”.
Valerio che scrive storie di pescatori e naufraghi salvati dal mare e imprigionati a Lampedusa; di Rose –giovane nigeriana- che affiora dall’oceano; scrive di ragazzi con la pistola, quelli di Scampia; quelli che se parli di rispetto di piccole regole e dell’obbligo di indossare il casco, ti rispondono “Ma io nu voglio murì accis”. Valerio ci raggiunge perché forse questa storia, la nostra storia, deve essere raccontata.
Ed inizia così la nostra primavera dell’accoglienza e dell’ascolto a Padova; la nostra primavera della conoscenza.
IL BENVENUTO
Con i saluti del presidente del Tribunale Sergio FUSARO e del Giudice Domenica GAMBARDELLA, alla presenza del Presidente della sezione penale di Corte di Assise dott. Alessandro APOSTOLI CAPPELLO, del Pubblico Ministero Vartan GIACOMELLI e di tanti avvocati, cancellieri e operatori della Giustizia, il palazzo di Giustizia per mezza giornata si trasforma. Si spogliano per qualche minuto della toga; quella veste nobile e tradizionale indossata nei dibattiti processuali; simbolo dell’alta funzione sociale, intellettuale e morale che sono chiamati a svolgere gli uomini e le donne di questo palazzo. E lo fanno per accogliere loro: i privilegiati studenti di Padova e Venezia. Più volte la dottoressa Gambardella ha affermato che i giovani hanno bisogno di essere guidati amorevolmente verso le scelte più giuste. Per questo motivo il palazzo di Giustizia di Padova oggi diventa un spazio d’indagine della vita pubblica che può educare all’esercizio delle virtù civili.
Il Vice Questore della Polizia di Stato dott.ssa Sara CORBASCIO, Responsabile dell’Ufficio Personale e delegata del Questore di Padova dott. Ignazio Coccìa, presenta ai ragazzi le iniziative del Dipartimento di Pubblica Sicurezza in materia di legalità, parla della necessità di sollecitare sempre più la costruzione di ambiti multidisciplinari, condivisi tra Istituzioni apparentemente distanti come la Scuola e la Polizia. Racconta di laboratori di cittadinanza attiva e partecipata ma riporta anche alla memoria la sua professione di poliziotto in terra di Calabria. E scopriamo così un funzionario forte, determinato nel ruolo che ogni giorno è chiamato a svolgere; eppure i ragazzi vanno oltre quella divisa, non notano la 92 parabellum portata sul fianco, perché non è quella che fa la differenza, e la chiamano solo Sara.
LA MEMORIA
Valerio Cataldi invita così i rappresentanti delle due associazioni che hanno realizzato l’evento: La Fondazione Antonino Caponnetto e il Presidio Silvia Ruotolo, accogliendo dal coordinamento provinciale di Libera Vittoria DE LUTIIS, giovane referente del Presidio Silvia Ruotolo. Vittoria presenta le attività di Libera previste sul territorio nazionale, parla dell’incontro voluto da Don Ciotti tra i familiari delle vittime di mafia e Papa Francesco, del viaggio a Latina e informa sui laboratori creativi in corso presso l’Istituto Marchesi di Padova: hanno inventato il gioco del Monopoli sui beni confiscati. Sollecitata ed emozionata, espone i profondi motivi di questa collaborazione che vede protagoniste le istituzioni, le FFPP e i giovani. Pochi sanno che alcuni di questi ragazzi hanno deciso di partire stanotte per Latina, per raggiungere gli altri amici e non mancare a un appuntamento così importante.
Tocca a Renato SCALIA, membro della Fondazione Antonino Caponnetto, portare alla platea i saluti di nonna Betta Caponnetto. Renato ci racconta il proprio riscatto sociale, di ragazzo di periferia. Viene da un quartiere difficile Renato: Centocelle. Qualche suo compagno di giochi poteva essere collegato alla banda della Magliana; il bar sotto la sua abitazione era frequentato da quei criminali che hanno ridotto un quartiere di Roma alla Chicago degli anni 30, consorterie dedite al traffico di droga, prostituzione, rapine; racconta della sua scelta di stare dall’altra parte, dell’intensa esperienza di poliziotto dell’Antimafia e dell’impegno assunto da qualche anno nelle attività della Fondazione Caponnetto. Spiega agli studenti il Progetto I Giovani Sentinelle della Legalità, promosso dalla Fondazione e che da quest’anno è partito anche in alcune scuole del Veneto. Ricorda che in sala sono presenti le rappresentanze di due degli Istituti coinvolti: l’Istituto Algarotti di Venezia con i docenti: Giusi Sazio e Domenico Roccaforte, e il Liceo Galileo Galilei di Selvazzano Dentro con il prof. Giovanni Aliberti.
Segue, attraverso un collegamento telefonico, un’intervista esclusiva a Maggie RUOTOLO, giovane figlia di Rocco Ruotolo, testimone di giustizia. Con il contributo della testimonianza resa da questo piccolo imprenditore, è stato smantellato un gruppo camorristico di origine campana, che si era stabilito nel cuore del Veneto per impossessarsi di centinaia di aziende in difficoltà. La ragazza e la sua famiglia dal 2011 vivono sotto protezione dello Stato.
Come hai vissuto questa esperienza e com’è la tua vita oggi, Maggie? Chiede Valerio Cataldi.
Dico a me stessa: sarà un racconto già noto, una strada che ho battuto con la memoria più volte; eppure trovo in quelle parole di giovane donna una nuova apertura mentale. Valerio ascolta in religioso silenzio, in Aula c’è quiete. Perché stavolta non c’è il silenzio omertoso dei processi di mafia, è un silenzio confortante e accogliente. E’ il silenzio di giovani coscienze, che ricercano la bellezza, la verità. Valerio Cataldi non cerca la storia ad ogni costo e lascia che sia Maggie a mettersi in gioco; Maggie che dimentica in qualche passo del suo discorso i suoi sogni e le speranze di giovane studentessa e ci regala così il suo dolore. Maggie che afferma che le era quasi impossibile credere a una storia di mafia vissuta nel ricco Nord-Est.
Volgo di nuovo lo sguardo alla platea; forse mi sbaglio, traspare una commozione che poco combacia con l’immagine di giovani choosy!
Valerio chiama accanto a sé Benny CALASANZIO, giovanissimo scrittore. Benny è il nipote di Paolo e Giuseppe BORSELLINO, imprenditori siciliani del calcestruzzo, vittime di mafia proprio per essersi ribellati; solo omonimi del giudice, che per scelta della mafia devono morire proprio quel lontano 1992. Che scherzi crudeli a volte ti riserva il destino, quando rischi di vederti scippare anche la memoria dei tuoi morti! Benny è autore del libro, appena pubblicato: 'Abbiamo vinto noi', è la vita di Ignazio Cutrò, imprenditore calabrese che ha detto NO alla mafia (Ed. Melampo). Un libro che Benny non ha mai definito un romanzo, e forse ha proprio ragione: è la storia di questo martoriato paese; di un uomo –e di tanti altri- che si è ritrovato a urlare prima ancora che contro la mafia, contro lo Stato o, almeno, contro alcuni che affermavano di rappresentarlo. Benny non ha paura; Benny ha il coraggio di urlare i nomi di mafiosi che hanno sporcato le terre del Nord; proprio qui, dove imprenditori si sono negati il diritto di costituirsi parte civile.
Dopo una breve pausa ripartiamo con la sessione dedicata all’impegno. E’ questo il momento in cui abbiamo voluto affermare ancora una volta: Cosa significa Legalità partecipata, cittadinanza attiva? E come avviare processi interattivi di prevenzione del sociale mafioso?
L’IMPEGNO
In sostituzione di Marco MASCIA, Direttore del Centro interdipartimentale di ricerca e servizi sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova è presente la Prof. Paola DEGANI, ricercatrice dell’Università patavina, docente di Politiche pubbliche e Diritti Umani. Dal 2003 al 2009, è stata nomina dal Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza formatrice presso i Reparti Mobili della Polizia di Stato. Alla prof. DEGANI le è stata assegnata la cattedra di Deontologia professionale, tutela dei diritti costituzionali e dei diritti umani, con particolare riguardo alla problematica del ruolo della Polizia nella prevenzione delle violazioni dei diritti umani (discriminazione razziale ) e nella promozione del loro rispetto. Paola DEGANI racconta l’esperienza che vive da cinque anni con la Questura di Padova, avendo la stessa avviato –attraverso un protocollo d’intesa- con il Centro Diritti Umani incontri informativi e formativi comuni tra studenti e poliziotti in materia di Diritti Umani. Incontri che si sono tenuti proprio nell’aula magna dello storico Reparto Mobile di Padova. Espone anche le criticità emerse in questi anni, rilevando che un’Istituzione deve essere in grado di riflettere e di migliorarsi anche sulle difficoltà e auspica che in un prossimo futuro il protocollo d’intesa possa rinnovarsi con nuovi e moderni indirizzi d’informazione e formazione.
Con Paola DEGANI è presente Ines TESTONI, prof. associato dell’Università di Padova, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata. Direttrice del Corso di Alta Formazione per la Prevenzione del Sociale mafioso avviato nell’anno accademico 2012-2013 che ha visto alternarsi illustri relatori come Nando dalla Chiesa, Enzo Ciconte, Luciano Violante e tanti altri. Studiosa del fenomeno mafioso ha rivolto la sua attenzione negli ultimi anni alla creazione di ambiti relazionali, gruppi interattivi tra Istituzioni pubbliche, enti creditizi, FF.PP. per la ricerca di un metodo condiviso e condivisibile di lotta alle mafie. Ha parlato di crisi dei valori nella società moderna di gestione della fiducia, fino a porre una seria riflessione sui legami “amicali e/o parentali” che per troppe volte hanno inciso nella costruzione sociale dei valori democratici e della legalità (fino a corromperli)
La Fondazione Caponnetto, per chiudere la giornata ha voluto che fosse Dario MEINI, giovane collaboratore della Fondazione e nipote di Antonino Caponnetto. Dario ha presentato un profilo di Nino Caponnetto diverso da quello che conosciamo. Un uomo: nonno Nino che Dario da bambino non riusciva “a sentire interamente suo”; racconta dell’impegno e del rigore di un magistrato prima e di un nonno impegnato nelle scuole poi, a contatto diretto con i giovani che amava indicare come “sentinelle della Legalità”. La voce di Dario è ferma e decisa quando afferma: “Le organizzazioni mafiose temono più la scuola, l’istruzione, il confronto, non gli apparati preposti alla loro repressione!” e invita i giovani studenti a fare rete, a inventarsi spazi condivisibili perché aggiunge “siamo noi, è questa società che non riesce a realizzare gruppi positivi e permette alle mafie di annidarsi sulle nostre debolezze”. Che emozione quando, guardando negli occhi i ragazzi, chiude il suo intervento con i versi di “Conosco delle barche” (Jacques Brèl): “Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto, ma più coraggiose e più forti. Conosco delle barche straboccanti di sole perché hanno condiviso anni meravigliosi. Conosco delle barche che tornano sempre quando hanno navigato. Fino al loro ultimo giorno, e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti perché hanno un cuore a misura di oceano.”
Arriva quasi di corsa l’attore Sebastiano Lo Monaco e qualcuno tra i ragazzi lo riconosce.
Sebastiano Lo Monaco, proprio sul fine settimana dedicato alla memoria e all’impegno, con Mariangela D’abbraccio e Turi Moricca, porta in scena al Teatro Comunale Mario del Monaco di Treviso lo spettacolo DOPO IL SILENZIO, con la regia di Alessio Pizzech, tratto dal Libro “Liberi Tutti” di Piero Grasso. Un testo scritto in collaborazione con Grasso da uno dei più bravi drammaturghi italiani Francesco Niccolini.
Lo Monaco ha voluto essere presente in questa giornata di commemorazione importante, proprio per il legame che ha con il mondo dell’associazionismo e ci regala uno dei passi più toccanti del primo spettacolo tratto dal libro di Grasso: “Per non morire di mafia”; tira dalla tasca dei pantaloni un accendino, simbolo di un legame forte tra Giovanni Falcone e Pietro Grasso e con lui ripercorriamo –in maniera diversa- un pezzo di storia attraverso la nobile arte del Teatro.
Le conclusioni giungono da Valerio Cataldi che prima dei saluti di commiato chiede alla direttrice del Coro del Tribunale di Padova, avv.to Stefania Martin, di presentare ogni singolo elemento e i brani preparati.
Con le note di The sound of silence (P. Simon e Garfunkel) si chiude così una storia collettiva di uomini e donne, operatori della Giustizia, studenti e professori, giornalisti e attori, che celebrando coloro che non ci sono più in un’aula di Tribunale, hanno opposto a una subcultura sanguinaria, fatta d’ignoranza, corruttèla e sopraffazione, una forza civile che sceglie la strada della conoscenza e del sapere come percorso verso uno Stato di diritto e di piena legalità.
Fuori dall’Aula del Tribunale, saluto i ragazzi del Presidio Silvia Ruotolo: Lorenzo il nostro simpatico tecnico-informatico, Matteo, Francesca, Eleonora, Vittoria, Aurora, Clara, Giulia, Carlo, Lorenzo, Diego, Claudia, Marianna, Elisa, Gioele, Francesco… e mi accorgo che Padova è avvolta in un abbraccio di tiepido sole.
Agente Megan
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